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giovedì 6 giugno 2024

Perché i "referendum Besostri": chiara esposizione di Daniele Dovenna

 


Un anno fa, ritrovandoci qui per il 2 giugno, abbiamo parlato dei tentativi di dare un volto diverso a questa Repubblica, tentativi che hanno preso nuovo vigore con l'avvento del governo Meloni.

Ma che non sono il segno distintivo di questo governo di destra e nemmeno solo dei governi di destra.

 

Oggi questi tentativi, rispetto a un anno orsono, sono progrediti, vedono il traguardo di un' approvazione parlamentare e costituiscono quindi un pericolo ancora più incombente e attuale.

 

Ma esiste il macigno di un'altra, enorme, questione a cui gli schieramenti di centrodestra e centrosinistra hanno dato, negli ultimi vent'anni e più, una soluzione profondamente sbagliata, quella della rappresentanza politica e parlamentare e quindi delle leggi elettorali.

Leggi elettorali che sono state dichiarate parzialmente incostituzionali dalla Corte Costituzionale, grazie all'opera dell' avvocato Felice Besostri, recentemente scomparso, al quale va il nostro deferente ricordo, che ha curato innumerevoli ricorsi davanti ai tribunali ordinari e poi alla Corte Costituzionale.

Nel 2018 e nel 2022, alle elezioni di Camera e Senato abbiamo votato con la legge denominata Rosatellum. Una legge confezionata dal Partito Democratico e votata in Parlamento e che non ha tenuto conto dei rilievi della Corte Costituzionale, introducendo anzi ulteriori elementi di incostituzionalità, che i comitati creatisi a tutela della rappresentanza parlamentare e popolare, insieme all'avvocato Besostri hanno sollevato.

Con le dichiarazioni presentate ai seggi al momento del voto, con ricorsi fatti alle giunte per le elezioni di Camera e Senato, con ricorsi fatti a diversi Tribunali nel paese, affinchè rimettessero nuovamente davanti alla Corte Costituzionale la questione di costituzionalità su alcune parti del Rosatellum.


I tempi necessari perchè i Tribunali emettano le loro ordinanze sono lunghi e noi rischiamo di andare a votare, ancora una volta, con una legge incostituzionale. Anche qualora il governo Meloni giungesse a scadenza naturale, nel 2027.


Ma con l' ulteriore, incombente, pericolo, che anche qualora non dovesse passare la riforma costituzionale del cosiddetto “premierato”, cioè l'elezione diretta del Presidente del Consiglio, chiunque, e quindi anche questa destra, vinca le elezioni, grazie alla legge elettorale Rosatellum, potrebbe ottenere un premio di maggioranza, rispetto alla percentuale di voti ottenuta, ben oltre il 50% più 1 dei seggi, e giungere persino ai 2/3 dei seggi.

E quindi avere in Parlamento una maggioranza tale da poter imporre qualsiasi riforma costituzionale, qualsiasi Presidente della Repubblica, determinare in misura decisiva la composizione della Corte Costituzionale e del Consiglio Superiore della Magistratura.


Non è rimasto quindi a Besostri e agli altri giuristi e volontari militanti che lo hanno affiancato, che scegliere la via del referendum abrogativo, e quindi una proposta di eliminazione chirurgica degli aspetti più evidentemente incostituzionali del Rosatellum, in modo che risulti una legge, applicabile, ma purificata dei suoi aspetti incostituzionali.

Si è quindi costituito un comitato referendario che ha individuato quattro quesiti referendari sul Rosatellum:

 


  1. abolizione del voto congiunto tra quota proporzionale e uninominale, che fa si che l'elettore non possa votare per un candidato che riscuote la sua fiducia nell'uninominale e votare una lista di diverso orientamento politico nel proporzionale, facendo così venir meno il “voto libero” previsto dall'art. 48 della Costituzione;

  2. eliminazione delle soglie di accesso al Parlamento , 3% dei voti per le liste singole e 10% per le coalizioni, che fanno si che centinaia di migliaia e,potenzialmente, milioni di elettori, non trovino affermata in una rappresentanza parlamentare, la loro volontà politico elettorale, facendo venir meno l'altra previsione dell'art. 48, il “voto eguale”;

  3. eliminazione dell'esenzione dalla raccolta di firme per presentarsi alle elezioni, per i partiti già presenti in Parlamento, vera condizione discriminatoria tra partiti e quindi, indirettamente, tra elettori;

  4. eliminazione della possibilità di candidarsi in più collegi, vera esplicitazione del comando delle segreterie dei partiti, nella definizione delle candidature, in presenza di liste che sono bloccate cioè dell'impossibilità per l'elettore di esprimere preferenze.

 

Alla raccolta di firme per i quesiti abrogativi così descritti, se ne affiancherà una per una legge di iniziativa popolare, che ripristini l'opportunità per l'elettore di esprimere delle preferenze, consentendogli di scegliere i candidati che riscuotono il suo consenso, affermando così, ancora una volta il principio del “voto libero”.

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